Alcune riflessioni sull’uso materiale biologico per la ricerca

In questi giorni si sta dibattendo a livello morale sulle ricerche e sperimentazioni derivanti dall’uso di tessuti fetali per la produzione di vaccini che servano a contrastare l’attuale pandemia da Covid-19. Anche la Congregazione per la Dottrina della Fede si è espressa con una nota il 21 dicembre 2020 “Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-Covid-19

Già da tempo la riflessione morale si era espressa a livello di Magistero attorno alla questione della ricerca che utilizzi materiale biologico per arrivare a conseguire risultati importanti in campo medico.

E’ ad esempio il caso di un bel documento della Congregazione della Dottrina della Fede del 2008 Dignitas Personae  a firma del Cardinale Levada allora Prefetto della Congregazione.  Si annota in quel documento ai numeri 34-35:

  1. Per la ricerca scientifica e per la produzione di vaccini o di altri prodotti talora vengono utilizzate linee cellulari che sono il risultato di un intervento illecito contro la vita o l’integrità fisica dell’essere umano. La connessione con l’azione ingiusta può essere immediata o mediata, dato che si tratta generalmente di cellule che si riproducono facilmente e in abbondanza. Questo “materiale” talvolta viene commercializzato, talvolta è distribuito gratuitamente ai centri di ricerca da parte degli organismi statali che per legge hanno tale compito. Tutto ciò dà luogo a diversi problemi etici, in tema di cooperazione al male e di scandalo. Conviene pertanto enunciare i principi generali, a partire dai quali gli operatori di retta coscienza possono valutare e risolvere le situazioni in cui eventualmente potrebbero essere coinvolti nella loro attività professionale. 

    Occorre ricordare innanzitutto che la stessa valutazione morale dell’aborto «è da applicare anche alle recenti forme di intervento sugli embrioni umani che, pur mirando a scopi in sé legittimi, ne comportano inevitabilmente l’uccisione. È il caso della sperimentazione sugli embrioni, in crescente espansione nel campo della ricerca biomedica e legalmente ammessa in alcuni Stati… L’uso degli embrioni o dei feti umani come oggetto di sperimentazione costituisce un delitto nei riguardi della loro dignità di esseri umani, che hanno diritto al medesimo rispetto dovuto al bambino già nato e ad ogni persona» .Queste forme di sperimentazione costituiscono sempre un disordine morale grave.

  1. Una fattispecie diversa viene a configurarsi quando i ricercatori impiegano “materiale biologico” di origine illecita che è stato prodotto fuori dal loro centro di ricerca o che si trova in commercio. L’Istruzione Donum vitae ha formulato il principio generale che in questi casi deve essere osservato: «I cadaveri di embrioni o feti umani, volontariamente abortiti o non, devono essere rispettati come le spoglie degli altri esseri umani. In particolare non possono essere oggetto di mutilazioni o autopsie se la loro morte non è stata accertata e senza il consenso dei genitori o della madre. Inoltre va sempre fatta salva l’esigenza morale che non vi sia stata complicità alcuna con l’aborto volontario e che sia evitato il pericolo di scandalo.

Queste note riassumo al loro interno anche la rilfessione precedente della congregazione (Donum Vitae I,4) e del magistero pontificio di san Giovanni Paolo II (Evangelium Vitae 62-63) oltre alle riflessioni portate avanti dalla Pontificia Accademia per la Vita.

Il problema della sperimentazione è venuto a porsi in maniera più acuta in questi tempi per le denunce sul traffico dei feti abortiti, sia a fini industriali  per la produzione di cosmetici, sia come cessione di materiale da esperimento per la produzione di farmaci[1].

Le distinzioni più rilevanti da un punto di vista etico sono quelle riguardanti il fine degli interventi sul feto; il fine può essere di pura sperimentazione biologica, di sperimentazione terapeutica o con intenti terapeutici, a scopo di prelievo dei tessuti per la cura di altre persone malate. Inoltre, è ancora più rilevante, è la distinzione sulla condizione del feto; se vivo, viabile o non, o morto, morto per aborto spontaneo o per l’interruzione volontaria della gravidanza.

Per quanto riguarda i feti morti, la qual cosa va accertata, occorre certamente sottolineare la differenza fra feti da aborto spontaneo o volontario. Nel secondo caso, e ciò è risaputo dai ricercatori, una utilizzazione da parte di questi di per sé, di per sé potrebbe essere lecita quando non ci fosse nessuna connessione di accordi previ e di condivisione dell’aborto ed escluda qualsiasi giustificazione dell’aborto stesso. Anche se questa non connessione non è facile da sostenere: l’aborto viene spesso eseguito ad hoc e quindi alla fine dell’intervento il feto può essere ancora vivo anche se non viabile. Per di più si rischia di incoraggiare la pratica (ratio scandali) e anche in considerazione della necessità di richiedere il consenso alla madre.[2]

Nel caso di feti provenienti da aborti spontanei, oltre all’accertamento della morte, occorrerà il consenso dei genitori o della madre, dovrà essere escluse ogni forma di speculazione o anche di compenso di tipo commmerciale, ci dovrà essere un prevedibile vantaggio da tali ricerche sul paino umano, in vista dello studio della malattia.

Da parte della Chiesa Cattolica si può ricordare la “Proposta di impegno etico per i ricercatori in ambito biomedico” pubblicata al termine della IX Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita dedicata al tema “Etica della ricerca biomedica per una visione cristiana” (24-26 febbraio 2003) dove si riassumono i principali nodi etici da sottoscrivere tra cui si legge:

– Riconosco che la scienza e la tecnologia devono essere a servizio della persona umana, nel pieno rispetto della sua dignità e dei suoi diritti.

– Riconosco e rispetto ogni tipo di ricerca, e le sue applicazioni, che sia basato sul principio di “bontà morale”, riferito alla corretta visione della duplice dimensione corporale e spirituale dell’uomo.

– Riconosco che ad ogni essere umano, fin dal primo momento della sua esistenza (processo di fertilizzazione) e fino alla sua morte naturale, va garantito il rispetto pieno ed incondizionato che è dovuto ad ogni persona umana, a ragione della sua peculiare dignità.

Dott Don Roberto Valeri, teologo

 

 

[1] Ad esempio: R.Colombo, La vulnerabilità nella ricerca biomedica. Il caso dell’Ebrione umano, in Vial Correa-Sgreccia (a cura di), Etica della ricerca biomendica per una visione cristiana, Atti della nona Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita (Città del Vaticano, 24-26 febbraio 2003), pp. 217-244,  per una visione esaustiva: E.Sgreccia, Manuale di Bioetica, Vol.I Fondamenti di etica biomedica, Milano 20073, 797-802

[2] A.G. Spagnolo, L’inevitabile complicità nel trapianto di tessuti fetali da aborti volontari, in «L’Osservatore Romano», 28 gennaio 1995

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